Sabato 6 ottobre, al Santo Volto, si è tenuta la giornata dei catechisti, conclusasi con il mandato del vescovo. Condivido alcune sollecitazioni tratte dall’intervento di don Ivo Seghedoni e don Marco Bonfatti, parroci di Modena, come stimolo per continuare il cammino di accoglienza e di catechesi affrontato negli anni nelle nostre due parrocchie. Si confonde l’“iniziazione cristiana” con il catechismo; invece occorre imparare a vivere come figlio di Dio nella quotidianità. L’iniziazione cristiana è un apprendistato che tiene conto che esistono potenzialità dentro al bambino e nella persona da tirare fuori e sviluppare. C’è bisogno di una guida e questo tirocinio deve essere dato a tutti, nel rispetto dell’unicità della persona con le proprie esperienze di vita. Criticità: il catechismo viene abbandonato proprio quando inizia la vera avventura della vita con l’adolescenza, dove c’è la nuova nascita della persona da bambino che era ad adulto. Che fare? La fede si apprende dentro una comunità… allora chiediamoci: di che cosa sono specchio le nostre comunità? Attivano la gioia? Attraggono gli adulti? C’è un posto per l’adulto, indipendentemente dal ruolo che ricopre? (i genitori dei bambini hanno uno spazio come persone, indipendentemente dal ruolo parentale?). Il Vangelo deve essere “desiderabile”: mai obbligare a partecipare; il Vangelo deve essere “possibile”: non è per gli eroi, ma per le persone umane le più strane, le più limitate, le più “senza le carte in regola” con i moralismi religiosi. Per molti genitori il sacramento è un rito magico che male non fa, un portafortuna, un passaggio secondo la tradizione, un obbligo davanti a Dio. Si è lontani dal vivere il sacramento come un gesto di amore gratuito da parte di Dio che attende la mia risposta. Posso accettare o rifiutare; è l’incontro tra due libertà: quella di Dio, che mi ama al punto di rischiare di essere rifiutato e quella dell’uomo, che può dire di no. E’ ovvio che i sacramenti sono gesti adulti non comprensibili dai bambini, che però possono imparare che quel gesto dice qualcosa di più, anche se non lo capiscono, soprattutto vedendo il genitore che partecipa. Mai essere giudicanti: non siamo migliori degli altri perché abbiamo un ruolo in parrocchia. Tutti siamo in cammino e cerchiamo un senso alla vita. Lo Spirito è libero e a volte ci mette di fronte persone su cui noi proprio non contiamo; non siamo noi a mettere in campo, ma è lo Spirito che ci precede su vie inattese e con nuovi protagonisti. Il segreto non è vincere, ma perdere: “perdere potere”. Siamo una comunità in cui tutti contiamo allo stesso modo. Chiediamoci: quando non abbiamo più un ruolo in parrocchia, qualcuno ci cerca ancora come prima? Dobbiamo “sprogrammare” i nostri centri di potere. Gesù insegna che si dà vita solo morendo, per lasciare uno spazio vuoto affinché possa essere occupato da un altro; e così anch’io avrò un nuovo spazio in cui sperimentarmi con più entusiasmo e curiosità. Come augurio per noi tutti concludo con l’invito di don Seghedoni a “vivere la lotta”. Siamo tutti d’accordo che l’evangelizzazione è difficile; ma evangelizzare è la lotta contro noi stessi, contro le nostre ansie, contro gli scoramenti, contro il nostro protagonismo. Contro tutto ciò che ostacola la passione.
-Gabriella